SCHEDA
Autore: Jorge Luis Borges (1899 - 1986) AR.
Titolo : L'Aleph (1952)
Titolo or.le: El Aleph
Racconto Tratto dalla raccolta
omonima: L'Aleph
(Pubblicata per Losada, Buenos Aires, 1952)
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L' ALEPH
di J. L. Borges
Universale Economica Feltrinelli, 2007
LO TROVI QUI ➤➤➤
INCIPIT
L’incandescente mattina di febbraio in cui Beatriz Viterbo morì, dopo un’imperiosa agonia che non si abbassò un solo istante al sentimentalismo nè al timore, notai che le armature di ferro di piazza della Costituzione avevano cambiato non so quale avviso di sigarette; il fatto mi dolse, perchè compresi che l’incessante e vasto universo già si separava da lei e che quel mutamento era il primo d’una serie infinita. Cambierà l’universo ma non io, pensai con malinconica vanità; talora, lo so, la mia vana devozione l’aveva esasperata; morta, potevo consacrarmi alla sua memoria, senza speranza ma anche senza umiliazione. [...]
Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora, non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fè; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri
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L' ALEPH
di J. L. Borges
Universale Economica Feltrinelli, 2007
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L’incandescente mattina di febbraio in cui Beatriz Viterbo morì, dopo un’imperiosa agonia che non si abbassò un solo istante al sentimentalismo nè al timore, notai che le armature di ferro di piazza della Costituzione avevano cambiato non so quale avviso di sigarette; il fatto mi dolse, perchè compresi che l’incessante e vasto universo già si separava da lei e che quel mutamento era il primo d’una serie infinita. Cambierà l’universo ma non io, pensai con malinconica vanità; talora, lo so, la mia vana devozione l’aveva esasperata; morta, potevo consacrarmi alla sua memoria, senza speranza ma anche senza umiliazione. [...]
Beatriz Viterbo morì nel 1929; da allora, non lasciai passare un trenta d’aprile senza tornare alla sua casa. Solevo arrivare alle sette e un quarto e fermarmi un venticinque minuti; ogni anno comparivo un po’ più tardi e restavo un po’ di più; nel 1933, una pioggia torrenziale mi favorì: dovettero invitarmi a cena. Profittai, naturalmente, di quel buon precedente; nel 1934 comparvi alle otto suonate, con un torrone di Santa Fè; con tutta naturalezza rimasi a cena. Così, in anniversari melanconici e vanamente amorosi, ricevetti le graduali confidenze di Carlos Argentino Daneri
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