Autore: Dostoevskij Fëdor Michajlovič
Titolo: Il sogno di un uomo ridicolo
Anno: 1ª ed. originale 1877
i RACCONTI. ed. Garzanti 1988
Genere: Racconto
N° parole: 6900
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Descrizione
L'uomo ridicolo vive una profonda crisi esistenziale, quella
dell'egoismo, che lo porta a non curarsi di nulla e di nessuno. Ma in questo
egoismo si cela la radice di una profonda infelicità. Pensa di spararsi, si
addormenta davanti alla rivoltella e sogna.
Nel sogno intraprende un viaggio straordinario in una terra
inesistente, autenticamente diversa dove, improvvisamente, scopre nell'amore
verso il prossimo il segreto della vera felicità.
Ma tornato nel mondo, nell'inferno degli uomini, la sua
scoperta cozza fatalmente contro le solide leggi dell'egoismo, che sono proprie
di questa società, da cui egli, fatalmente, viene respinto. L'uomo ridicolo
viene così tacciato di follia, rinchiuso in un manicomio, stretto in una
camicia di forza, inesorabilmente escluso dalla vita, perché reo di una colpa
che non concede appelli: l'amore.
Ancora Dostoevskij? Noooooooooo
RispondiElimina“Povera Gente”… come vi capisco!
Leggere ancora oggi il vecchio Dosto può sembrare un “Delitto e Castigo”. Roba da sentirsi “Umiliati e Offesi”, ma, per tutti “i Demoni”, il russo non è poi così vecchio e decrepito come sembra: dopotutto è coetaneo di Flaubert e di Melville, è nato perfino dieci anni dopo Poe ed è più vecchio del nostro Verga di pochi lustri. Credetemi sulla parola, non sono un “Idiota”, e non mi sento affatto un uomo ridicolo quando dico che vale ancora la pena di leggerlo. Se non credete me, domandatelo pure ai “Fratelli Karamazov”, al padre Fedor Pavlovic e perché no, al suo “Sosia”, loro vi diranno che ho ragione. Buona lettura.
"Ma il loro sapere era più profondo e più alto di quello della nostra scienza, giacché la nostra scienza cerca di spiegare che cosa sia la vita, essa stessa, la scienza, aspira a rendersene conto, perché la scienza vuole insegnare agli altri a vivere; quelli invece anche senza la scienza sapevano come dovessero vivere".
RispondiEliminaQuesto racconto è bellissimo, racchiude tutto il pensiero filosofico di Dostoieskji, lo stesso che anticipò Leopardi, rifacendosi alla Bibbia, nello Zibaldone (scritto fra il 1817 e il 1832):
Cap.III …l'uomo già sapeva abbastanza per natura, cioè per opera propria, immediata e primitiva di Dio, tutto ciò che che gli conveniva sapere. La colpa dell'uomo fu volerlo sapere per opera sua, cioè non più per natura, ma per ragione, e, conseguentemente saper più di quello che gli conveniva, cioè entrare colle sue proprie facoltà nei campi dello scibile, e quindi non dipendendo più dalle leggi della sua natura nella cognizione, scoprir quello che alle leggi della sua natura, era contrario che si scoprisse. Questo e non altro fu il peccato di superbia che gli scrittori sacri rimproverano ai nostri primi padri; peccato di superbia nell'aver voluto sapere quello che non dovevano, e impiegare alla cognizione, un mezzo e un'opera propria, cioè la ragione, in luogo dell'istinto, ch'era un mezzo e un'azione immediata di Dio: peccato di superbia che a me pare che sia rinnuovato precisamente da chi sostiene la perfettibilità dell'uomo....".
Dostoevskij - L'ho scritto come lo pronuncio.
RispondiEliminaPerché, come si scrive in russo? :-) Bel commento Serenella, bello davvero. Sono d'accordo, il racconto è profondo, offre molti spunti alla riflessione e anche tanto impegno da parte del lettore. Potevo pubblicare anche l'altro racconto altrettanto famoso " Le notti Bianche" ma francamente è ancora molto più lungo di questo. Sarà per la prossima volta.
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